Crespano del Grappa (Tv), martedì 29 maggio 2018
Cf. Lc 2,22-38
Buona sera a tutti, mi chiamo Federico, ho vent’anni e vengo dalla Diocesi di Belluno-Feltre. Oggi desidero fare una breve riflessione partendo dal brano, tratto dal vangelo di Luca, sulla Presentazione di Gesù al Tempio alla luce del mio cammino di fede e di discernimento vocazionale.
L’evangelista ci racconta di quando Giuseppe e Maria “portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore”. Questo rito simbolico ci comunica l’appartenenza del figlio a Dio e ciò è vero in un senso profondo per Gesù, ma lo è anche per noi. Credo che questa certezza mi abbia incoraggiato molto, soprattutto in questi ultimi anni, nell’offrirmi e nel donarmi con gratuità al prossimo, nell’aprirmi al Signore facendomi accompagnare da lui nel cammino anche quando la vita mi ha posto di fronte a prove ed ostacoli.
Penso ad esempio a quando, finiti gli esami di quinta superiore, sentii la necessità di fare chiarezza, di dedicare del tempo all’ascolto per approfondire quell’intuizione, quella chiamata al dono totale di sé orientata al sacerdozio diocesano. Ricordo quel mese di luglio in cui, durante il gruppo estivo, scrissi a don Roberto, il segretario del vescovo Renato, non senza esitazioni, paure, incertezze, ma in fondo fiducioso di non essere solo, fiducioso nell’amore inestinguibile di un Padre che ha dato il figlio per la nostra salvezza. Non fu certo semplice per me farsi avanti e superare il timore di un giudizio umano, delle critiche e di un pettegolezzo che avrebbero potuto esserci. Il Signore però mi rassicura sempre su questo, invitandomi a non temere di offrire il mio cuore per consegnarlo a lui, a tendere l’orecchio per incontrarlo ed ascoltare la Sua voce presente nel tempio che è ciascuno di noi.
Quante volte nella mia esperienza di fede ho potuto sperimentare le difficoltà e la gioia dell’incontro nel quotidiano, il valore che esso può avere se vissuto fuori dall’egoismo e nella carità reciproca. Anche Luca ci parla di un incontro nel Tempio di Gerusalemme: quello di Gesù con Simeone, “Uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele” e la profetessa Anna che, rimasta vedova, “Non si allontanava mai dal Tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere”. Simeone ed Anna sono due personaggi che hanno entrambi dedicato la propria vita in attesa di quel momento; è per loro l’incontro degli incontri, il compimento dell’Antica Alleanza. I due non hanno alcun dubbio, riconoscono immediatamente Gesù come il Figlio di Dio, il Messia e sentono nel loro cuore, sempre vigile e in ascolto, tutta la verità, la gioia e la pienezza di quell’incontro. Ci insegnano dunque, Simeone ed Anna, a vegliare, a fare nostro quell’atteggiamento di fiducia e disponibilità capace di accogliere il Signore in tutte le situazioni della vita, quasi a dirci: “Tenetevi pronti, perché il Figlio dell’uomo arriverà quando meno ve lo aspettate!” (Lc 12, 40).
Nei mesi passati a Casa Sant’Andrea ho avuto diverse occasioni d’incontro: penso ai vari momenti di comunità, di fraternità e di silenzio; penso in particolare al servizio di carità svolto a Casa Santa Chiara dove vivono i malati terminali. Incontri che mi provocano e mi spingono da un lato a chiedermi: “Sarò veramente capace, come Simeone ed Anna, di avere un cuore non indurito e docile all’ascolto? Sarò veramente capace di consegnarmi e di offrirmi con gioia e con serenità al prossimo rinnegando me stesso per seguire Gesù?”. Domande impegnative che mi pongono davanti, volente o nolente, ai miei limiti, alle mie difficoltà, al mie debolezze. La tentazione di rispondere esaurendo tutto in me stesso, nelle mie pretese di realizzazione alle volte è forte, ma è l’offrirsi, l’abbandonarsi totale ed incondizionato a Dio che permette quel dono di sé agli altri che è vero ed autentico.
Vivere la parrocchia, in questo senso, mi ha aiutato molto sin da ragazzo a ritrovare e a non perdere di vista il centro, a tenere cioè lo sguardo fisso su Gesù nonostante tutte le distrazioni con le quali un giovane come me, soprattutto oggi, è portato a confrontarsi. Di qui l’importanza che ha avuto il gruppo giovani, l’animazione dei gruppi estivi, il servizio come chierichetto e il catechismo.
Un altro elemento non secondario per la mia vita di fede, che ho potuto sperimentare quest’anno a Casa Sant’Andrea, è stato l’accompagnamento di un padre spirituale, don Giuseppe, il quale, armato della consueta pazienza ed imperturbabilità, mi ha aiutato ad approfondire il mio rapporto con la spiritualità e la preghiera.
Sarebbe davvero bello se anche noi, così come Giuseppe e Maria, così come l’apostolo Andrea, così come molti altri, avessimo la premura, avessimo la grazia di essere accompagnatori non protagonisti, di essere amici dello Sposo che è Gesù.