“Arcella bella” è una simpatica rima che entra subito in testa. “Arcella Bella” è l’animazione con eventi culturali, arte e incontri di un’area verde di quel quartiere, Parco Milcovich. Ma potrebbe essere anche una domanda un po’ irriverente, quasi retorica, piena di pregiudizi, che suonerebbe così: “Arcella, bella!?”. Noi di Casa Sant’Andrea abbiamo provato lo scorso giugno a rispondervi attraverso 4 giorni di esplorazione e condivisione del quartiere che ospiterà la nuova sede della Casa. Abbiamo vissuto la classica “gita di fine anno” proprio all’Arcella nei giorni della Festa di San Gregorio Barbarigo. La risposta: l’Arcella è veramente bella! Un quartiere molto dinamico, in trasformazione, multietnico, pieno di giovani universitari, con una Chiesa capace di interrogarsi, accettare la sfida, farsi vicina, proporsi, e disposta con pazienza a condividere la vita e annunciare la fede. Ma diamo la parola ai giovani di CSA!
Enos – L’esperienza è iniziata il 14 giugno con il servizio svolto per tre sere in sagra a San Gregorio. Siamo stati accolti molto bene dal gruppo dei volontari, composto da parrocchiani di tutte le età, ragazzi e ragazze scout e genitori. Sin da subito ho percepito un clima di collaborazione e relazioni fraterne. La tavola calda, la pesca di beneficenza, il mercatino dei libri e dei vestiti usati, la zona d’intrattenimento musicale, lo schermo per seguire le partite di calcio: una bella proposta e ben organizzata! Con pazienza i referenti ci hanno spiegato in cosa consistevano i vari servizi e sono sempre stati disponibili a eventuali chiarimenti sul da farsi. È stato possibile per me e i miei compagni conoscere alcuni collaboratori della parrocchia ed entrarci un po’ in confidenza, specialmente con i giovani volontari e i nostri coetanei. Sono momenti importanti per una parrocchia, per crescere nell’agàpe fraterna, quella carità evangelica che può raggiungere poi tutti coloro che abitano quel territorio, cristiani e non.
Francesco M. – Sabato 15 giugno siamo partiti da un punto fondamentale per la vita cristiana del quartiere ma, possiamo dire, della città intera: il Santuario di Sant’Antonino dove il Santo morì la sera del 13 giugno 1231. Siamo stati accolti dal parroco, Padre Franco Odorizzi, che ci ha illustrato la nascita del santuario e gli ultimi momenti di vita di Sant’Antonio da Camposampiero alle porte della città di Padova, dov’è stato accompagnato per terminare il suo cammino terreno. Dopo un momento di preghiera presso la celletta dove morì, ci siamo raccolti in silenzio per meditare anche sul destino finale dell’uomo nel suo definitivo incontro con il Padre celeste. Dall’alto dei 72 metri del campanile del santuario ancora oggi il Santo veglia sulla città e sui suoi figli.
Francesco R. – Quella mattinata ci ha dato poi la splendida occasione di incontrare una realtà comunitaria realmente innovativa: “Casa Bethèsda”, situata in piena città e immersa nel verde, a due passi dalla chiesa del Sacro Cuore. Percorrendo il viale alberato che conduce ad un grande casolare già si comincia a respirare la dimensione di intimità e calore del luogo. Siamo stati accolti come fossimo di casa e dopo un momento di raccoglimento e preghiera assieme abbiamo potuto apprendere la storia della comunità, i suoi valori fondanti e la missione. Bethèsda (in Aramaico “Casa della Misericordia”) è nata dall’iniziativa di quattro famiglie che hanno realizzato un progetto di vita condivisa, in unità di tempo, luogo e azione. Ogni famiglia, ciascuna con la rispettiva abitazione, può vivere al contempo la propria vita familiare e quella comunitaria. La solidarietà, il vivere e il fare insieme, l’accoglienza e la carità sono alla base del progetto delle quattro famiglie fondatrici. Con il supporto di un padre spirituale, la comunità è dedita a iniziative di aiuto per chi vive momenti di particolare difficoltà, ed è disponibile all’ospitalità di gruppi per incontri formativi. Oltre che con la Caritas di Padova, la comunità è inserita nella vita della parrocchia del Sacro Cuore. Se all’arrivo avevo ipotizzato potesse trattarsi di una realtà protetta e separata, ho poi presto compreso che al contrario si tratta di una comunità pienamente integrata nel tessuto sociale e urbano, non una realtà “fuori dal mondo” ma nella solidarietà pienamente “nel mondo” e “per il mondo”.
Rasheem Pietro – Il lunedì mattina seguente abbiamo conosciuto il Progetto Miriam di Padova che aiuta donne vittime di tratta. Le Suore Francescane dei Poveri con altre operatrici accompagnano il progetto con l’obiettivo di fornire supporto e assistenza a queste persone vulnerabili in un ambiente sicuro e accogliente dove trovare ascolto, sostegno e opportunità per crescere personalmente. Donne di diverse etnie ed età hanno l’opportunità di riacquistare fiducia in se stesse, imparare nuove abilità pratiche e sviluppare competenze che possono essere utili per il loro futuro. Possono diventare più autonome, creare legami nuovi e genuini e sentirsi parte di una comunità. Il Progetto offre anche un rifugio immediato per le donne che si trovano in situazioni di emergenza o pericolo. È un’isola sicura nel mare tempestoso della loro vita.
Edison – Il 18 giugno siamo stati accolti da don Marco e don Loris, preti in servizio a San Bellino, Santissima Trinità e San Filippo Neri, per ascoltare la loro testimonianza vocazionale. È stato un momento molto importante soprattutto perché, anche se la chiamata di Dio è unica per ciascuno, ci sono sempre dei segni e delle caratteristiche molto simili che aiutano a fare chiarezza e a “raddrizzare” il proprio cammino di ricerca vocazionale. Nell’incontro ci hanno parlato anche della realtà che vivono in parrocchia, nel quartiere, con famiglie che provengono da diversi paesi e culture, lingue e credo differenti. Ho colto che la parrocchia continua, comunque, ad essere il luogo d’incontro per tutti. Mi ha stupito che don Marco e don Loris vengano chiamati “Padre”, un modo di chiamare i presbiteri tipico di altri paesi e penso sia una cosa bella. Auguro loro di continuare ogni giorno l’opera di evangelizzazione, di donarsi agli altri e di amarli con l’amore di Cristo Gesù.
Concludendo aggiungo la voce di un’amica che qualche mese fa mi chiama e mi dice: “Sai, sono contenta che la Diocesi abbia scelto il mio quartiere per i futuri Seminaristi, perché qui potranno incontrare i giovani e ‘gli ultimi’”: direi, un ottimo inizio per i preti del domani, una buona provocazione per me, prete di oggi! Non vedo l’ora di trasferirmi all’Arcella! È veramente bella!
don Mattia Francescon
Direttore di Casa Sant’Andrea
Animatore vocazionale diocesano