In memoria di mons. Giuseppe Zanon, ripubblichiamo il suo editoriale del dicembre 1998, quando era rettore del Seminario.

 

Il computo delle nostre date si avvicina alla scadenza del duemila, con la preoccupazione religiosa e civile di dar rilevanza a questa ricorrenza. Ma la prima cosa su cui riflettere è la grandezza dell’avvenimento su cui la nostra storia si misura. L’avvenimento che divide la storia è la venuta di Cristo, è il suo Natale. Non è stato il natale di un uomo, sia pure il più grande uomo, ma il Natale dell’Uomo-Dio: Gesù. Nel faticoso ed incerto cammino della storia dell’uomo, nella notte appare una luce ed un canto di angeli che annunciano la pace agli uomini amati dal Signore: «Ecco vi annunzio una grande notizia: è nato per voi i1 Salvatore. Lo troverete avvolto in fasce».

Dio viene a salvare, si fa Emmanuele, Dio con noi. Eppure non mostra tutta la potenza e la maestà di Dio: appare come un bambino, che è avvolto dalle fasce, segno della debolezza. La salvezza dell’uomo parte dalla piccolezza di un seme.

Dopo duemila anni lo stile di Dio continua: la presenza di Dio è ancora germinale, debole, una proposta, una promessa. In ciascuno di noi Dio è ancora un bambino, nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità cristiane, nella chiesa universale. Occorre accettare questo stile di Dio. Occorre fare silenzio, porre attenzione per riconoscere la sua presenza germinale, occorre aver fiducia nella forza di questo seme che cresce, in questo lievito che trasforma.

In un Seminario si lavora per continuare l’Incarnazione. Ogni giovane che si pone in cammino per diventare prete è uno che è stato raggiunto dai segni umani che Cristo continua con la sua presenza nella Chiesa. Ha incontrato la Chiesa nella sua famiglia, in una parrocchia, attraverso la testimonianza di un prete, ha trovato la Parola di Dio, ha conosciuto la forza dei sacramenti e il dono interiore dello Spirito Santo.

Questo giovane ha sperimentato nella fragilità della sua persona, anche nella debolezza del peccato che il Signore è vicino, ama e salva. Proprio da questa personale esperienza di salvezza nasce il desiderio di testimoniare ad altri la forza della salvezza che viene dal Signore.

Allora un seminarista impara a mettere la sua povera umanità a servizio del Signore Gesù, per esserne un prolungamento tra i fratelli. La sua serenità e pace, la sua misericordia, la sua disponibilità ad amare saranno un segno che renderà credibile la parola che annuncia, che renderà testimonianza che i sacramenti sono lievito per rinnovare la vita.

Per il Seminario dunque celebrare il giubileo del duemila non sarà programmare iniziative nuove e straordinarie, ma vivere più in profondità il suo impegno quotidiano: rendersi strumento perché l’Incarnazione continui, nello stile dell’Incarnazione.

 

A cura di mons. Giuseppe Zanon

 

«In ciascuno di noi Dio è ancora un bambino»