Commento a Ezechiele 37,1-14 durante la Veglia di Pentecoste
di Matteo Melchiotti
«Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai». (Ez 37,3)
Quando Dio pronuncia questa provocazione al profeta Ezechiele, la sua mano lo stava conducendo fuori facendolo passare tra le insidie di una valle piena di ossa che a primo impatto non dovrebbe essere stato per lui una bella visione. Ciò che mi colpisce sta nella risposta che da il profeta: “Signore Dio, tu lo sai”. Non serve per Ezechiele dare una risposta certa a Dio, perché sa che se lo sta facendo passare di lì, per quella valle, è nelle intenzioni sue e quindi gli basterà una risposta vera. Ezechiele ora dovrà agire secondo ciò che Dio gli chiederà: profetizzare, parlare in nome di Dio, e dare una nuova creazione a ciò che è arido, consumato, spogliato dalla carne, dai nervi e dalla pelle. Sono solo ossa, prive di tutto ciò che le rendeva umanità, non più corpi e anime che un tempo erano vita. Questa nuova creazione, non è più direttamente opera delle mani di Dio ma è opera delle parole che Dio fa annunciare a Ezechiele perché tutto si ricomponga e abbia di nuovo vita. Ecco che in questo primo momento che vede il muoversi delle ossa che si accostano l’una al altra, ciascuna alla propria corrispondente, i corpi riprendono nuova forma e nuova unità.
Stando a questo primo momento rivedo per me, nella mia storia che ora mi vede a Casa Sant’Andrea, l’associarmi per certi aspetti a Ezechiele e per altri alle ossa inaridite. Trovo somiglianza con il profeta che si presta alle parole di Dio, sentendomi come fin da bambino a sua disposizione, riconoscendo in Lui il Padre che conosce il mio bene e mi accompagna in ogni istante nei luoghi che sanno essere buoni per me: qualvolta in famiglia, con gli amici o nei diversi ambienti di lavoro; altre volte a vivere la parrocchia, ad incontrare le persone della Comunità nella quale sono cresciuto e il servizio in questa come catechista dei ragazzi e degli adolescenti. Quando poco più di un anno fa, grazie ad una provocazione fatta da un adulto significativo e spinta da alcune circostanze e coincidenze strane che sono accadute, ho iniziato a fidarmi di ciò che sentivo e a chiedermi che cosa il Signore desiderava per me, ho riconosciuto quelle mie ossa inaridite, che per me sono ancora la struttura portante della mia vita. Relazioni, esperienze, incontri ma soprattutto emozioni che sembravano come disgiunti, non uniti tra loro, dove il mio esserci era rivolto unicamente ad ogni singolo momento/osso, nervo, carne o pelle ma non all’intero della mia esistenza. Questo ricomporsi ora mi fa entrare nel secondo momento della creazione che compie Ezechiele sotto la guida di Dio. Il profeta ora parla allo spirito, si rivolge alla Vita. Lo Spirito che il Padre nella prima creazione del libro della Genesi (2,7) soffia nelle narici dell’uomo per farlo divenire essere vivente ora per mezzo del profeta viene richiamato dai quattro venti perché i corpi rivivano. È lo Spirito, il dono della vita piene che il Padre ci da, per accogliere la grandezza del suo Amore, lo spirito che entra in questi corpi li fa alzare in piedi, come il risorto e che ci mostrano la forza di questo dono.
Continuando la mia storia, nella forza dello Spirito trovo il dono scoperto in quest’anno di discernimento. La pausa di questi mesi, di ascolto di me e di dialogo nella preghiera, mi hanno guidato verso il Padre, riconoscendo anche nelle mie fragilità di un corpo arido la sua spinta innovatrice e creatrice di ogni giorno. Me ne è stato prova il dono della pazienza che ho fatto mio in che quest’anno riscoprendolo come importante per meglio interpretare l’azione dello Spirito nelle mie capacità ma anche nelle mie paure.
Nell’ultima profezia Ezechiele, spinto dalle parole di Dio, dona al popolo ora ricreato dallo Spirito, di accogliere l’annuncio lieto che Dio ha per il popolo d’Israele, come la promessa di una speranza nuova. Ad ogni vivente viene consegnata di nuovo una vita per rivivere, il fine di ritrovarsi nella propria terra, quella promessa dal Padre per farli riposare, ovvero stare nella sua grazia come fece con il primo uomo che pose nell’Eden perché lo coltivasse e lo costudisse. In un luogo sicuro, in un posto buono e affidabile e nel percorso verso la sua terra li incoraggerà a porre in lui la piena fiducia e accogliere ogni dono come la sua Grazia. “Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò”. Concludendo la mia storia ora in pieno cammino con il Padre, mi sento di coltivare nella Grazia di ciò che ho già ricevuto un dono da questo brano. Di potermi sempre rifugiare nella fede alla speranza che ad oggi ho riscoperto per me e che mi da coraggio per accogliere ogni vivente come la mia chiamata al Padre per stare nel suo Amore e schierarmi dalla sua parte per la salvezza di ogni uomo che lui mi farà incontrare.