Partecipando al Convegno nazionale vocazioni, mi ha particolarmente provocato la lectio biblica proposta durante il pomeriggio del primo giorno di lavori da Barbara e Stefano Rossi, collaboratori dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della CEI. La coppia di sposi ci ha aiutati a immergerci con più profondità nelle due annunciazioni dei vangeli del tempo di Natale, la prima quella a Maria (Lc 1,26-38) e la seconda quella rivolta, invece, a Giuseppe (Mt 1,18-25): due “sì” differenti, ma entrambi proiettati ad accogliere Gesù, fine a quale sono rivolte tutte le vocazioni.

La vocazione di Maria si realizza nel “qui e ora” che ella sta vivendo e non è solo per lei, ma è anche e soprattutto per altri (il vangelo stesso, a sottolineare ciò, colloca l’annunciazione nel sesto mese di gravidanza di Elisabetta). Come il “sì” di Maria, quindi, anche i nostri personali “sì” non devono essere vissuti esclusivamente per noi, ma all’interno di
una rete di relazioni. Ogni chiamata è quindi per la comunità: non per un’autorealizzazione personale, ma per il bene di tutti. In questo “tutti” però non possiamo includere solo le nostre relazioni più prossime: la vocazione s’inserisce in una storia più ampia, pur partendo dalla nostra storia personale, indipendentemente da quanto essa sia inadeguata ai nostri occhi rispetto a quello che Dio ci chiama a essere. Nella vocazione Dio, infatti, ci consegna il suo stesso sogno – come fu per Maria e Giuseppe – e ci chiede di dargli fiducia perché egli stesso si fida di noi.

Dall’altra parte, la vocazione di Giuseppe ci dice che quando il Signore chiama sconvolge i nostri piani. Questo spesso ci turba, ma saper stare in questo turbamento testimonia la veridicità della nostra chiamata e dice che essa è mezzo per sentirci amati da Dio (condizione necessaria per saper amare). Proprio in virtù di questo sentirci amati, la
vocazione ci spinge ad andare oltre le norme e le nostre personali convinzioni. Andare oltre significa non fermarsi al sentirci “a posto” ma arrivare a percorrere la strada che Dio ha voluto, scelto e tracciato per ognuno noi.

Ecco che ogni chiamata diventa motivo per non rimanere spettatori passivi ma per mettersi in movimento, come Maria, come Giuseppe. L’atteggiamento deve essere quello “contempl-attivo”: non è sufficiente unicamente contemplare il mistero che abita ogni annunciazione, ogni vocazione, ma occorre rispondere attivamente. La risposta attiva non sempre è facile, non sempre è immediata, ma se impariamo a spezzettare il tempo saremo in grado di portare a compimento il desiderio di Dio per noi.

Daniele Mozzato
seminarista del I anno

articolo tratto dal Cor Cordis