È un titolo intrigante quello della 56a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni di domenica 12 maggio. A chi e a che cosa vuole rimandare e quali atteggiamenti vuole suscitare? Ci viene in aiuto il poster della stessa Giornata. Due ragazzi stanno dipingendo con serenità e sicurezza su un muro, come se seguissero una traccia già segnata: non c’è nulla di già abbozzato, ma i loro occhi e le loro mani riescono a intuire più di quanto il muro possa offrire; essi vedono oltre, in profondità. In loro riconosciamo ciò a cui siamo chiamati come credenti, ossia a guardare l’orizzonte dell’esistenza con occhi penetranti, capaci di intuire la presenza di Dio e i segni del Regno che cresce. In loro vediamo le nostre comunità cristiane, chiamate a coltivare la fraternità, ma anche a testimoniare una presenza che sta oltre il loro agire. In quei ragazzi vediamo ogni altro ragazzo e giovane chiamato alla vita, alla fede e a un progetto di vita particolare da una voce che viene dalla vita quotidiana, ma che la supera, nel Mistero. Ed è al Mistero che mi riporta il titolo di questa Giornata, da intendersi non tanto come realtà oscura e impenetrabile, ma presenza altra da noi che ci attira e rapisce, ci coinvolge e ci mette in cammino verso la pienezza della vita. Nel Mistero trovo anche gli inizi della mia scelta di vita, della mia vocazione cristiana e presbiterale. Ricordo con affetto tanti momenti della mia infanzia in cui mi sono sentito parte di qualcosa di più grande della situazione in cui mi trovavo, una realtà calda e accogliente, che mi affascinava e mi faceva percepire prezioso e importante così com’ero. Ricordo dei momenti di preghiera condivisi in famiglia e in chiesa, durante i quali, attratto dalle persone, dal silenzio e dal canto, dalle luci e dalle candele accese, avvertivo la presenza di qualcuno di grande che mi conosceva nell’intimo e la preziosità dei momenti vissuti con Lui. Quante volte ho avvertito da bambino e da ragazzo di essere chiamato a questa realtà che aveva a che fare con il mio quotidiano, ma che pure lo superava, che era qualcosa di grande e preparato soltanto per me. Ecco “l’invisibile” che si nasconde nelle pieghe del visibile, della vita di tutti i giorni, del nostro correre e del nostro fare, delle esperienze liete come di quelle impegnative. Ecco l’invisibile che ogni persona cerca, nel quale ognuno ritrova sé stesso e la propria strada. Ecco l’invisibile nel quale siamo chiamati a entrare e rimanere, nel quale possiamo accompagnare altri, affinché ciascuno scopra la bellezza di vivere alla presenza di Dio. È questa la chiamata che il Signore fa alla Chiesa e che si rinnova di anno in anno anche con la Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. La comunità cristiana, a partire dalla piccola chiesa domestica, è chiamata a farsi compagna di strada, soprattutto dei ragazzi e dei giovani, nell’aiutarli a inoltrarsi nel Mistero, scoprirlo, conoscerlo, viverlo. Accompagnare ad aprirsi al Mistero è uno dei tratti primari dell’azione educativa che – presi dalle cose da fare e dalla superficialità che anestetizza i pensieri e gli affetti – abbiamo tralasciato di coltivare e trasmettere, chiudendo la finestra che permette di aprirsi su una realtà più grande della propria, la porta di accesso al Signore. La Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni mi pare ci indichi nella fede e nell’educazione alla fede la strada per aiutare ragazzi e giovani a scoprire e accogliere la propria vocazione. La comunità cristiana può generare vocazioni nella misura in cui diventa segno di un di più della sua concreta realtà, una presenza che va oltre il suo fare e che si fa visibile nella testimonianza di adulti significativi, uomini e donne che vivono coi piedi ben radicati sulla terra, ma con gli occhi che attraversano le nubi. Sono loro che smuovono nel cuore dei ragazzi e dei giovani la domanda: «Signore, che cosa vuoi che io faccia?». Sono loro che li provocano a ipotizzare una vita come quel prete, quella suora, quei due sposi, quel missionario… La loro parola, la loro testimonianza fa breccia nell’apertura al Mistero invisibile che c’è nei ragazzi e nei giovani, rendendola visibile, tanto da farla diventare una possibilità concreta, seppure avvertita come grande e impegnativa. Penso sia andata così anche per me. Ancora ragazzo, un sabato pomeriggio durante una confessione, il parroco mi ha chiesto se avessi mai pensato di entrare in Seminario. La confessione si concluse con la consegna di alcune copie del periodico del Seminario minore che io cominciai a guardare e riguardare sognando il mio domani, come se vi fossero raccontate le avventure dei più grandi supereroi. Ma soprattutto, la confessione si concluse con la percezione che finalmente qualcuno aveva compreso il mio segreto, che il mio parroco aveva agganciato il mio cuore nel suo desiderio più profondo di comunione con il Signore del Mistero. Osiamo, come il mio parroco, quella parola e quel gesto che possono far vedere l’invisibile e dipingere con esso la vita visibile.

 

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A cura di

don Silvano Trincanato

direttore dell’Ufficio

diocesano per la

Pastorale delle vocazioni