La 57a Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni
Qualche anno fa cantavamo: «Da Milano fino a Hong Kong, passando per Londra, da Roma e fino a Bangkok»; forse inconsapevolmente, stavamo dicendo che «la ricerca della felicità è comune a tutte le persone di tutti i tempi e di tutte le età. Dio ha deposto nel cuore di ogni uomo e di ogni donna un desiderio irreprimibile di felicità, di pienezza. I nostri cuori sono inquieti e in continua ricerca di un bene che possa saziare la loro sete d’infinito » (Francesco, Messaggio GMG 2015). Ecco allora il significato del titolo dato alla Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni dai vescovi italiani e ripresa dall’esortazione scritta da papa Francesco dopo il sinodo sui giovani “Datevi al meglio della vita” (Christus vivit 143). Non un invito ai giovani a darsi alla bella vita, ma piuttosto a prendere in seria considerazione il “meglio” della vita, ciò che la realizza e la porta a compimento, ciò che può renderla felice.
Ma qual è il meglio della vita? Cos’è la felicità che tanto cerchiamo? Ogni persona potrebbe dirci qualcosa e in ogni persona potremmo trovare una tessera del grande mosaico della risposta a questa radicale domanda del cuore. La Giornata di preghiera per le vocazioni ci consegna una sua risposta. Attingendo alle parole di Papa Francesco (cf. CV 143) ci invita a metterci in cammino e a incoraggiare i giovani a fare altrettanto, ossia a lasciarsi coinvolgere dal futuro e dalla vita del mondo, ad affrontare le paure e la noia che paralizzano per lasciare sbocciare i sogni, prendere decisioni e farsi sentire. La felicità, infatti, è talvolta confusa con la tranquillità, soffocata dalle delusioni, bloccata dalle disillusioni o confusa con l’euforia di un momento, con la libertà di fare tutto ciò che si vuole o la gioia spensierata. Darsi alla felicità, invece, significa accogliere la chiamata al cammino, alla ricerca interiore, alla condivisione della propria storia con quella degli altri e a un bagno di realtà, ossia a non temere di ascoltare la voce di Colui che ci chiama da dentro innumerevoli situazioni a diventare responsabili di una missione. Sì, è l’incontro con il Signore, «con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione della vita» (CV 129).
Scegliere il “meglio della vita” non va per niente da sé, anche quando ci si presenta dinanzi: da un lato ci manca la forza di sceglierlo o lo slancio di deciderci per paura di sbagliare o di inguaiarci, dall’altro è come se non fossimo allenati a riconoscerlo, come se il cuore non fosse capace di intuirlo, di sentirne la presenza. Ed è anzitutto in questo secondo versante, io credo, che siamo chiamati a investire le nostre energie se vogliamo scoprire la felicità vera e aiutare le persone affidate a compiere questo cammino. Amedeo Cencini già nel 2012 si chiedeva «Abbiamo perso i sensi?» (ed. San Paolo) e poi nel 2018 è tornato a suggerire di «evangelizzare la sensibilità per imparare a discernere» (Dall’aurora io ti cerco, ed. San Paolo). È proprio questo il punto. In questo nostro tempo, sovraccarico di tante sollecitazioni, ci ritroviamo con un cuore anestetizzato, e così fatichiamo a sentire il bello e il brutto, il dolore e la gioia, la pace e il conflitto, la domanda e la risposta. Darsi al meglio della vita, passa attraverso i ponti dei nostri sensi e della nostra interiorità che ha bisogno di essere valorizzata ed evangelizzata, ossia illuminata dal Vangelo, dalla sapienza della fede, per imparare un nuovo modo di sentire, cristiano, in cui i nostri sensi sono in accordo con quelli di Cristo. In questo campo credo ci sia davvero tanto spazio pastorale, spazio per accompagnamenti personali e di gruppo, di annuncio del vangelo che è capace di liberare il cuore, di ascolto della realtà insieme al Signore, così da sentirla davvero e scoprirvi dentro una chiamata.
«Per favore» (CV 129) sono le parole che papa Francesco aggiunge al suo invito ai giovani a darsi al meglio della vita. In questa sua espressione ormai familiare, troviamo tutto il suo desiderio che i giovani siano felici. Per questo stesso desiderio ogni comunità cristiana, ogni prete ed educatore, non può non affiancarsi ai giovani e incoraggiarli alla felicità, a interrogarsi e lasciarsi interrogare su di essa, su come trovarla e a intraprendere il cammino che può portare a scoprirla e a vivere la propria missione. Diamoci il diritto di sentire fino in fondo il bisogno dei giovani di essere felici e mettiamoci al loro fianco per camminare verso il meglio della vita. Preghiamo per loro e con loro; stiamo con loro, gratuitamente, senza temere di aiutarli a scavare i loro desideri e di addentrarci nel loro desiderio più profondo, quello di Dio.