Prima tappa: La formazione dei presbiteri dalle origini al Concilio di Trento
L’anniversario dei quattrocentocinquant’anni dall’apertura del Seminario di Padova (1569) e dei trecentocinquant’anni dalla sua riforma e trasformazione ad opera di san Gregorio Barbarigo (1670) ci offre l’occasione per porre alla storia alcune domande. Innanzitutto, a mo’ d’introduzione: prima che il Concilio di Trento stabilisse, nel 1563, l’obbligo per tutte le diocesi di dotarsi di un istituto per la formazione dei futuri presbiteri, obbligo cui la nostra Chiesa rispose con la fondazione del suo Seminario sei anni più tardi, come ci si preparava al ministero sacerdotale? Dipende dall’epoca che vogliamo considerare, è la risposta.
Nella chiesa dei primi secoli, composta da piccoli nuclei di cristiani concentrati esclusivamente nelle città, era la stessa comunità (laici, diaconi, presbiteri, vescovo) che individuava al suo interno uomini degni e preparati cui il vescovo, attraverso l’imposizione delle mani, conferiva il sacramento dell’ordine. La formazione avveniva attraverso la catechesi ordinaria del cammino catecumenale, l’annuncio della Parola e la celebrazione dei sacramenti, la testimonianza della carità fraterna. Le lettere di san Paolo, gli scritti dei Padri, le più antiche fonti cristiane documentano, sia pure in modo frammentario e non sempre omogeneo, questa prima fase.
Dopo l’epoca delle persecuzioni (il cosiddetto editto di Milano, con cui l’imperatore Costantino concesse piena libertà di culto ai cristiani, è del 313), il cristianesimo conobbe una grandissima espansione e la Chiesa assunse carattere pubblico e ufficiale (con l’imperatore Teodosio, 380). La necessaria strutturazione che ne derivò, e la conseguente necessità di un maggior numero di sacerdoti per provvedere ai bisogni di un numero molto più vasto di fedeli, sparsi anche fuori delle città, nelle campagne, comportarono un mutamento fondamentale nella scelta dei candidati al sacerdozio e nella loro preparazione. Al presbitero, sempre più, venne richiesta una serie di competenze “professionali” legate alla complessità di una comunità via via più numerosa e articolata, chiamata ad affrontare sfide nuove e problemi diversi, legati alla fede, alla condotta morale, ma anche all’ambito giuridico ed economico. Ciò comportò l’ingresso tra le file del clero di uomini di preparazione più ampia, nel pieno medioevo potremmo dire universitaria, ben più di quanto avvenisse in precedenza, non chiamati direttamente alla cura delle anime. Per i sacerdoti “curati” nacquero invece nelle chiese cattedrali alcune scuole dove i giovani apprendevano i primi rudimenti di latino, alcune nozioni di liturgia, i fondamenti della dottrina e della morale cristiana; il servizio che essi vi prestavano come ministranti (accoliti, si diceva genericamente) permetteva loro d’imparare a celebrare e le omelie che vi udivano regolarmente faceva di loro dei predicatori “per imitazione”.
Ben altra strada si apriva, nelle campagne, per quei ragazzi che per scelta personale o per strategia familiare desiderassero accedere agli ordini sacri: per loro non c’erano le risorse, di uomini e di mezzi, di cui una cattedrale poteva disporre, la maggior qualità di una vita cittadina, anche solo il semplice contatto con un maggior numero di sacerdoti. Per loro c’era solo il parroco, e ciò che lui solo poteva insegnare; se era un uomo preparato e disponibile il risultato di questo tirocinio pratico poteva essere anche discreto, ma da ciò che le nostre fonti raccontano non sempre era così. Ho parlato di strategie familiari: va spiegato che l’avere un figlio prete poteva rivelarsi per una famiglia una scelta fruttuosa, quand’egli fosse riuscito ad avere una sua parrocchia, delle cui entrate, sia pur di media entità, potevano godere lui stesso e i suoi familiari. La “carriera ecclesiastica”, in questo modo, venne sempre più spesso percepita come una professione al pari delle altre, complice la poca cura che i vescovi, non sempre e dappertutto, ma in modo generalizzato, ponevano nel verificare la preparazione e l’idoneità dei candidati che ordinavano, sia per la riduzione della funzione episcopale a finalità sempre meno pastorali e più legate a interessi politici, diremmo terreni, sia per la generale decadenza che da tutto ciò derivò.
Abbiamo così tratteggiato a grandissime linee e con molte omissioni la storia della formazione del clero diocesano a partire dall’antichità attraverso il Medioevo e l’età moderna, per giungere a quella riforma che il Concilio di Trento, convocato dopo la crisi protestante, avvertì come necessaria e urgentissima.
mons. Stefano Dal Santo